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Diana Dalziel Vreeland
la donna che ha insegnato la libertà alle donne

Se si pensa a un icona dell'editoria della moda pensiamo all'“imperatrice” Diana Vreeland, una donna che è riuscita ad immergersi totalmente nella moda, trasmetterne la storia e la magia, a far aprire le menti e far sognare.

Non fu una donna ne ricca ne molto bella ma creò la bellezza con un connubio di rigore e creatività artistica.

Diana nacque a Parigi nel 1903 – in quel momento il centro del mondo, della Belle Epoque, delle demi-mondaines, l'ultima era del lusso assoluto - da madre americana e padre inglese. La sua infanzia non fu semplice, i suoi genitori volevano per lei una educazione severa ma ricca di esperienze, come quando nel 1911 la mandarono, con la sorella Alexandra Dalziel, a Londra ad assistere all'incoronazione di Re Giorgio V, dove la parata con elefanti, carri e abiti sontuosi la colpì nel profondo.
Sua madre, bella e avventuriera, e suo padre, un vero gentleman inglese, ospitavano nella loro casa stimolanti serate con attori, artisti e ballerini del balletto russo e gran parte della sua formazione avvenne inconsapevolmente con quelle esperienze che furono per lei una fucina di idee. Poi, nel 1914, la sua famiglia emigrò a New York in America.

Arrivarono i “ruggenti anni 20” e Diana cominciò a frequentare locali notturni ad Harlem dove impazzavano blues, jazz e ragtime. Qui si esibiva l'eccentrica e affascinante cantante / ballerina Josephine Baker soprannominata “La venere Nera”, la quale si dimenava con gonnellini di piume e perizomi di banane; questo fornì a Diana un altro fondamentale tassello d'ispirazione per la sua carriera.

Li aprì la sua boutique di lingerie dove i capi venivano lavorati anche dalle suore di un convento spagnolo. Un giorno entrò nella boutique la Duchessa di Windsor Wallis Simpson, la futura moglie di Edoardo VIII, la quale acquistò tre capi della sua collezione diventando cliente e amica. Un altro passaggio importante per la carriera futura di Diana.

Una sera si trovava al St.Regis indossando un abito bianco con bolerino in pizzo rosso Chanel, il quale metteva in risalto la sua silhouette esile e slanciata e l'editrice Carnel Snow ne rimase affascinata. Dopo averla conosciuta le propose di lavorare per Harper's Bazaar, Così iniziò con una frivola rubrica “Why don't you” dove dispensava consigli alienanti, stravaganti e sfacciati.
Quello fu il primo passo in questo mondo prima di diventare, nel 1939, editrice della rivista con un punto di vista nuovo e originale, sempre con le giuste scelte in fatto di tendenze.

Le riviste prima del suo arrivo pubblicavano solo figurini, disegnati dai migliori stilisti con tanto di descrizione, e dispensavano consigli sul come preparare una torta o come compiacere il marito ma lei riuscì a portare le donne fuori dalle quattro mura, le fece sognare e viaggiare attraverso i suoi racconti fotografici. Cambiò il destino della percezione visiva della moda, tutte potevano essere delle dive.

Donna risoluta, tenace, creativa ed esigente pretendeva il massimo dalle sue intimidite assistenti, pianificava nei minimi dettagli ogni servizio fotografico creando delle vere e proprie storie e con le sue idee, finita la guerra, rese popolare il bikini e i blue jeans.

Lanciò un'intera generazione di modelle ed era molto attenta nella loro scelta: non voleva ragazze che indossassero gli abiti come se fossero dei manichini ma pretendeva gli dessero vita e movimento con stile, portamento, sinuosità e dava grande importanza al maquillage per enfatizzare soprattutto occhi e labbra. Le modelle dovevano coltivare la loro immagine dentro e fuori dal set così da trasformarsi da semplici ragazze in vere e proprie regine.

I servizi fotografici frutto della sua visione si materializzavano grazie ad artisti come Richard Avedon; nessuno come lui interpretò il glamour femminile riuscendo a vedere oltre agli stereotipi e traendo ispirazione da tutto quello che lo circondava.
Si percepiva in ogni scatto: potevi toccare la leggerezza dei materiali, i colori, la luce, la bellezza impalpabile ed eterea delle modelle. Quelle ombre leggere, i monumenti, i luoghi, gli animali feroci, i colori della natura, tutto diventava motivo decorativo.
Le avventure dei set e l'aurea creata uscivano dalle pagine, si potevano quasi toccare, questa fu una vera e propria rivoluzione.

Dopo ventotto anni lavorati per Harper's Bazar, scontenta del trattamento economico a lei riservato, Diana sentiva la necessità di cambiare quando ricevette una proposta da Vogue - Condé Nast che le offriva un lauto stipendio e un budget illimitato per i servizi fotografici.

Vogue era una rivista intorpidida quando lei ne prese le redini negli anni 60 mentre a Londra era l'epoca del pieno fermento creativo, della Swinging London rappresentata dai Beatles con i loro cappotti smilzi, i pantaloni stretti e gli stivaletti, della pop-art, della minigonna di Mary Quant e delle modelle come Twiggy con l’eco delle opere di artisti come Andy Warhol che arrivava dall’America.

Nelle strade si vedevano nuovi look dal gusto provocatorio e una rivoluzione delle donne alla ricerca di emancipazione, con il corpo da mostrare e con una nuova idea di femminilità.
Per la prima volta la gioventù comprese l'importanza della moda, dell'arte e della musica come strumento per trasmettere il proprio messaggio.

Fu un periodo unico dove tutto era glamour ed eccentrico, dove ci si vestiva in modo stravagante; un cambiamento sociale, sessuale e politico dove il vecchio pensiero lasciava il posto alle nuove generazioni e dove le modelle diventano dei veri e propri personaggi.
I difetti non erano più da considerare tali e spesso per i servizi fotografici si utilizzavano delle star, così i personaggi divenivano mannequin e le mannequin diventavano star.

Diana portò tutto questo dentro la rivista facendola tornare iconica.

Ma dopo 8 anni di successi, nel 1971, Vogue decise di cambiare nuovamente volto togliendo la guida del magazine alla Vreeland.

Prima la morte del marito e successivamente questo licenziamento portarono Diana a rinchiudersi in se stessa e ad attraversare un periodo cupo. Ma un nuovo inizio arriva nel 1972 quando il Direttore del Metropolitan Museum of Art Thomas Hoving, su suggerimento dell’esperto d’arte e collezionista Ted Rousseau, le propose di collaborare per restituire il giusto splendore alla collezione di costumi e di abiti in archivio al museo.

Diana accettò l'incarico diventando consulente tecnico dell'Istituto del Costume e iniziando a curarne gli eventi.

Per il lancio dell’archivio il MET tenne una raccolta fondi dove parteciparono ricche donatrici (fra cui un entusiasta Jaqueline Bouvier Kennedy, visto il suo rapporto con Diana che le aveva scelto la mise per l'elezione del futuro presidente degli Stati Uniti d'America e a cui aveva dato l'intervista esclusiva dopo la vittoriosa elezione) aprendo la strada al MET Gala l’evento mediatico ed esclusivo come lo conosciamo oggi.

Il primo evento fu “The World of Balenciaga”, un vero e proprio show al quale parteciparono moltissimi vip: star di Hollywood, modelli, artisti e politici, facendolo diventare una delle mostre più lussuose e importanti al mondo.

Le sue esposizioni duravano sei mesi, la messa in scena era lunga e faticosa e servivano altrettanti mesi per preparare le varie installazioni. Da una stanza all'altra gli abiti trovavano la giusta collocazione in modo teatrale con gusto e glamour.
Fu la prima a creare mostre ed eventi unici rendendole più suggestive e coinvolgendo tutti i sensi, ad esempio nebulizzando fragranze attraverso i condotti di aerazione per un esperienza unica.

Nonostante il successo ottenuto e le cospicue donazioni, i collaboratori del museo non erano felici della visibilità ottenuta, pensando che tutto ciò adombrasse la parte artistica del museo, così venne boicottata da gran parte dei curatori e del personale che la accusavano di non avere una preparazione accademica. Lei rispondeva ai suoi detrattori con una visione personale della storia della moda, una cultura elevata fatta dall'esperienze fatte in giro per il mondo.

Nel 1983 organizzò l'esposizione “Yves Saint Laurent 25 years of design”, un evento sociale che fece clamore perchè fu la prima mostra dedicata a uno stilista ancora in vita.

ll mondo dell'arte si trasformò, altri musei cavalcarono l'onda esponendo anch'essi costumi d'epoca ma nulla era eguagliabile ai racconti che Diana riusciva a mettere in scena.

Era una cantastorie con la visione di un mondo ideale, credeva nei sogni e sapeva far viaggiare con la fantasia.

Diana Vreeland con impeccabile eleganza ha lasciato delle orme indelebili, vera e propria icona di stile, cosciente che la moda avrebbe costituito uno dei linguaggi più innovativi.

Artista rivoluzionaria e infaticabile, esteta, idealista e visionaria tutto questo è Diana Vreeland.

Ci si può abituare alla bellezza solo se si è predisposti ad accettarla.

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